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Tassa di soggiorno, pro e contro

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La tassa di soggiorno è stata introdotta per far fronte all’incremento del consumo turistico che, nel corso degli ultimi decenni, è diventato a tutti gli effetti un consumo di massa a livello mondiale.

I dati confermano un aumento costante del numero degli arrivi turistici internazionali che si riflette anche nell’aumento del volume delle entrate turistiche (UNWTO, 2017). Perché è nata la tassa di soggiorno

Oltre al beneficio per l’economia della destinazione turistica, lo spostamento di un numero sempre maggiore di turisti ha anche dei side effects, cioè le esternalità turistiche negative, come l’inquinamento, il sovrautilizzo delle risorse naturali o la congestione. Tutti fattori che stanno portando sempre più all’attenzione l’importanza di un turismo sostenibile.

Per cercare di tamponare l’ingresso, spesso massiccio, di turisti, i governi di molti Paesi si sono dotati di uno strumento fiscale apposito: la tassa sul turismo. L’imposta viene applicata sul soggiorno dei turisti da parte delle strutture ricettive che poi le invieranno al comune di appartenenza. L’obiettivo teorico è quello di creare la capacità economica per risarcire i residenti degli eventuali “danni”, causati dall’afflusso turistico, investendo sul territorio e/o per salvaguardare il patrimonio ambientale e culturale.

In Italia la tassa di soggiorno era stata inizialmente riservata alla città di Roma (nel 2010), per poi essere adottata da un numero crescente di comuni a partire dall’anno successivo.

Dal 2011, infatti, i Comuni capoluogo di Provincia e i comuni o loro unioni, facenti parte degli elenchi regionali delle località turistiche o delle città d’arte, possono richiedere l’applicazione dell’imposta di soggiorno alle strutture ricettive. Il gettito fiscale derivante dalla raccolta dell’imposta deve essere “destinato a finanziare interventi in materia di turismo, manutenzione, fruizione e recupero dei beni culturali e ambientali locali e dei relativi pubblici locali”.

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Come funziona la tassa di soggiorno

Ad oggi, ciascun Comune può stabilire autonomamente l’importo della tassa di soggiorno e la sua durata; questo porta ad un’ampia variabilità sul territorio a seconda delle città e della categoria della struttura ricettiva.

I dati confermano positivamente l’estensione dell’applicazione della tassa di soggiorno in Italia. Secondo le stime dell’Osservatorio Nazionale sulla Tassa di Soggiorno, le entrate derivanti dall’imposta sono aumentate da 77 milioni di euro nel 2011 agli oltre 463 milioni di euro nel 2017, con un passaggio da 13 a 746 comuni, più la provincia id Trento, che hanno deciso di applicare la tassa.

Le previsioni per il 2018 superano i 507 milioni di euro. Il gettito fiscale complessivo potrebbe essere maggiore se venisse stabilita, definitivamente, una normativa rivolta alle piattaforme di home tourism. Per Airbnb la tassa è diventata obbligatoria e, come per gli hotel, varia per importo e durata in base alla destinazione.

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Le conseguenze sull’afflusso turistico

Queste decisioni di politica fiscale hanno un impatto significativo sulla competitività delle destinazioni turistiche.

Il servizio turistico è un bene che presenta un’elevata elasticità di domanda: questo significa che la domanda turistica è molto sensibile alle variazioni di prezzo. Quando il prezzo diminuisce la domanda aumenta in modo più che proporzionale e vice versa.

Ci sono esempi di politiche fiscali tourism friendly, come l’eliminazione della tassa di soggiorno o l’abbassamento dell’IVA sui soggiorni e sui trasporti che mirano a favorire l’afflusso turistico, rispetto ai competitors turistici.

Il punto è trovare il giusto equilibrio tra salvaguardia della destinazione turistica e la sua promozione attraverso politiche che ne favoriscano il turismo in entrata. E questo è ancor più vero in un contesto di turismo di massa in cui è il prezzo, più ancora della qualità dell’offerta, a fare la differenza…

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