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La sindrome dell’uva acerba - Il buonismo comunicativo

17 Maggio 2021 | Redazione Spuntolab

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“Quando la volpe non arriva all’uva, dice che è acerba”.

È l’adagio più vecchio del mondo, eppure è sempre attuale. In un mondo in costante evoluzione come quello della comunicazione, le dinamiche dei social – ultimo baluardo della democrazia – non possono non essere tenute in considerazione. E ciò che più spiazza in tali dinamiche è che tra “#jesuisPincoPallino” ed immagini di gattini acquisiscono sempre più spazio gli haters, coloro che immancabilmente hanno qualcosa del quale sparlare e contro il quale istituire campagne di attivisti.

La regola è che il branco di pecore mangia il leone, in un contesto nel quale tutti possono dire tutto senza alcun filtro e senza timore di poter essere zittiti (in un bar, sarebbero i primi ad avere un occhio nero e qualche dente in meno!).

La comunicazione

La comunicazione si conforma a questo tipo di movimento sempre più forte, il buonismo comunicativo si diffonde a tutto spiano e occhio ad andare fuori dal coro, c’è il rischio di scatenare le orde di benpensanti-l’unione-fa-la-forza anche quando l’idea contro la quale ci si scaglia non ha nulla di così scioccante o politicamente scorretto.

La comunicazione “allineata” e che non turba è quella che va per la maggiore ed ha la durata di un gatto in tangenziale: arriva, viene guardata, “scrollata” e si passa oltre senza che nessuna coscienza venga turbata.

Ciò che è cambiato tuttavia – e a memoria è quanto accaduto con la satira di Charlie Hebdo prima, e con Libero, poi – è la presenza nei media di chi gioca sempre più ad andare contro corrente, al distinguersi dalla massa, al punzecchiare i fianchi dei benpensanti per ottenere una reazione, positiva o negativa che sia.

L’ironia e la provocazione, spesso, sono gli spilli coi quali si pungono le coscienze, si cerca di dare una botta di vita ad una comunicazione che immancabilmente tende ad assestarsi sul coma vigile di chi guarda e passa, di chi non si sofferma troppo e “scrolla” tra un video di gattini ed un altro di bimbi che giocano.

“L’importante è non disturbare”, sembra sussurrare oggi il grande contenitore di luoghi comuni che è Facebook, e quando giunge una voce fuori dal coro la reazione è quella dell’eruzione del Vesuvio e dell’indignazione di massa.

Ad oggi la nuova comunicazione, la nuova pubblicità, non può non tenere conto di questo. Non può non tener conto del fatto che la gente s’incazzi molto facilmente quando legge qualcosa che esce dal buonismo comunicativo: la linea Taffo, che ha segnato il passo del real marketing, ha indubbiamente sortito l’effetto di risvegliare le coscienze associando con ironia e intelligenza la sana provocazione al luogo comune, ma non si possono dimenticare le orde di reazioni negative che ha provocato agli esordi.

Giocare sul black humour, sull’ironia non troppo velata, sul “politically scorrect” – ovviamente con intelligenza e ben consci di quale reazione si vada a provocare – non è un “purchè se ne parli”, ma diventa la più esponenziale presa in giro dei tempi moderni; tempi nei quali tutti sono esperti di calcio, opinionisti, tuttologi e guru della comunicazione e gli haters sono dietro l’angolo pronti a puntare il dito.

Al “dovevi fare così, per fare bene” – anticamera del luogo comune – si contrappone la consapevolezza dell’appiattimento generalizzato del pensiero che, se da una parte non permette voci fuori dal coro – chi si azzarda ad obiettare sulla validità di un’opinione, viene lapidato nella pubblica piazza di Facebook – dall’altra rende memorabili certi messaggi e li amplifica ulteriormente.

Perché c’è da prendere atto di una cosa: gli haters sono la più grande community non codificata sul web, quelli che, effettivamente, tirano la carretta di tutta la social society, quelli che alla fine della fiera rendono effettivamente persistente un messaggio, innalzandolo all’altare del memorabile e provocando fior fiore di condivisioni a riprova dell’indignazione (perché finisce che più ti indigni e più condividi).

L’aspetto ironico di tutta la faccenda è che quando si raggiunge la memorabilità, e noi possiamo dire di averlo fatto con la pubblicità dell’Hoy Hotel ed il “Fattela comodamente” tanto bistrattata dai guru del social marketing (il fatto di aver preso ad esempio la pubblicità alla Taffo per denigrarci, a noi in realtà è suonato come un grandissimo complimento), poi occorre valutarne gli effetti nel medio-lungo termine. Fortunatamente, nella massa di opinioni che sono state espresse, c’è stato qualcuno, obiettivo, che ha suggerito di attendere appunto gli effetti di una campagna così estremamente fuori dalle righe.

Ed eccoli qua i risultati: per il cliente boom di visibilità, anche grazie alle ricondivisioni del suo post sulle docce matrimoniali, telefonate di clienti che hanno capito e ci hanno fatto su una risata confermando poi le prenotazioni per la prossima stagione, oltre a new entry, in fatto di clienti, che hanno prenotato ex novo nella sua struttura. Ciò a far da contraltare a chi aveva profetizzato la prossima chiusura del suo albergo e una flessione del 70% nelle prenotazioni. Alla faccia! (Questo a riprova del fatto che sui social si trovano anche tantissimi guru del turismo!). Ad ironia, poi, si aggiunge altra ironia quando a bocce ferme sono arrivate al nostro cliente fior fiore di richieste da parte di agenzie pubblicitarie e di marketing turistico che prima non se lo filavano neanche di striscio, pronte ad immolarsi caritatevolmente per occuparsi della sua social campaign. Oh toh vè! Quanta generosità, quanta magnanimità, neanche fossimo sotto Natale.

Riassumendo, il tipo di comunicazione che decidiamo di utilizzare ci aiuterà ad aumentare clienti al ristorante e migliorare reputazione web, per questo è molto importante assumere una linea ben precisa che ci possa anche far emergere rispetto ad altri.

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